giovanni foto 200 2019 trasp

Coltivare la speranza, creare giustizia sociale

L’assuefazione al peggio è la condizione psico esistenziale che conduce alla rassegnazione.
Una condizione di fronte alla quale la coscienza si ribella, soprattutto quando il peggio è rappresentato dalle dittature, dalla violenza legalizzata e dalle guerre, che spesso coincidono.
Un esempio di eccezionale valore è quello del popolo iraniano che lotta, nonostante la violenta e spietata repressione di cui è vittima.
Mattarella è stato insolitamente poco diplomatico nei confronti del “governo” di Teheran, al quale ha manifestato “sdegno e indignazione per la violenta repressione in atto in Iran”.
Impiccano ragazzi e oppositori, arrestano e torturano chi manifesta, organizzano processi illegali e chiamano cultura questa barbarie.
Chiamano religione questa violenza.
Altro che sovranità nazionale e accuse al solito “occidente” di propalare notizie false e di voler imporre la propria cultura.
Siamo presi dai nostri problemi, dal nostro carovita che non dà tregua, ma non possiamo e non dobbiamo disinteressarci di problemi che sembrano lontani ma che, in realtà, ci riguardano.
Il mondo è più che mai connesso e interdipendente per sfere di influenza che fanno ricadere su tutti le conseguenze di ciò che viene deciso e/o si manifesta lontano (apparentemente) da noi.
La guerra e i conflitti di ogni genere lo dimostrano.
Estraniarsi è una pia illusione, il prezzo della benzina solo in parte dipende da noi, anche se il governo ci ha messo del suo per fare aumentare il prezzo e scaricare sui benzinai la responsabilità.

Vivere nel tempo della cosiddetta intelligenza artificiale e prendere atto che in Ucraina alcune città vengono rase al suolo, dopo aver manifestato per la pace e finanche contro l’invio delle armi per difendersi, genera più frustrazione che speranza di arrivare presto alla pace.
Difficile credere di poter fare qualcosa di concreto per favorire questa prospettiva, ma non dobbiamo arrenderci.
Intanto le persone/famiglie con poco reddito disponibile, tra cui i lavoratori e i pensionati, devono fare i conti con una inflazione che colpisce doppiamente i più fragili che, anche per andare a lavorare, devono spendere in benzina e mezzi di trasporto una parte dello stipendio.
La cosa che non quadra in questa situazione è la strana disattenzione verso gli extraprofitti delle grandi imprese nazionali e multinazionali, che grida vendetta in relazione alle difficoltà di molte famiglie e anche di piccole imprese che faticano a fronteggiare il caro bollette e benzina, che si ripercuote su tutti i prodotti di prima necessità.
Tra i distributori di benzina c’è pure qualcuno che se ne approfitta, ma non è giusto metterli tutti sullo stesso piano facendoli apparire come quelli che manovrano le accise.
È il governo in carica che ha deciso di correggere in peggio una decisione del governo precedente, i cui effetti tenta di scaricare su una supposta speculazione.
L’immagine prima di tutto!
I nodi cominciano a venire al pettine.
Quando le risorse disponibili sono limitate, delle due l’una.
O si agisce per una più equa distribuzione della ricchezza, attivando virtuosamente la leva fiscale, oppure le ingiustizie e le iniquità sono destinate ad aumentare, deteriorando ulteriormente la struttura economica e sociale del paese.
In questo caso si verificherebbe l’esatto opposto di quanto progettato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza condiviso a livello europeo.
La guerra della Russia contro l’Ucraina è diventata un fattore di permanente incertezza, ma, per quanto riguarda l’inflazione e i prezzi, cioè il carovita, si è tramutata in un alibi che confonde e giustifica tutto, anche il non rinnovo dei CCNL di categoria scaduti.
La giustizia sociale non la genera il mercato. Il “mestiere” del mercato è un altro.
È la buona politica che deve fare la sua parte decisiva. Quella che manca in Italia.
Il nostro non è un Paese minacciato dall’esterno, dai disperati che si avventurano in mare per scappare, chi dalla fame nera, chi da gravi minacce e pericoli.
Il nostro è un Paese insicuro al suo interno, per effetto di sue fragilità strutturali e disequilibri che non sa e/o non vuole curare.
Che hanno generato la crisi delle nascite e il fenomeno dei giovani che, a decine di migliaia ogni anno, se ne vanno all’estero, non per libera scelta ma per assenza totale di prospettive di lavoro dignitoso.
Che favorisce il fenomeno dei giovani che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in percorsi di istruzione e formazione.
Giovani di cui nessuno si prende cura, che si dovrebbero semplicemente “arrangiare”, con ciò che ne consegue.
La giustizia sociale è figlia della volontà. Volontà politica incardinata sulla Costituzione che indica la strada e la illumina.
In questo senso il lavoro è il principale problema.
Economico e sociale. Non di mera sussistenza e sopravvivenza.
Culturale e valoriale, di equità e giustizia distributiva, di educazione e formazione, di unità sostanziale del Paese, assai lontana dal vero.
Si usa dire che “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”.
Per quanto riguarda il lavoro, tale confusione si può osservare tra i concetti di occupazione e occupabilità.
Perchè c'è grande differenza tra i servizi per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e la domanda di lavoro dignitoso.
Esso può scaturire solo dagli investimenti e dai paletti normativi e contrattuali che dovrebbero provenire da una sana concertazione e da una cultura del lavoro condivisa che escluda sfruttamento e precariato.
Colpevolizzare i giovani che non trovano il lavoro che non c’è significa aggiungere la beffa e l’umiliazione al danno da cui deriva l’insicurezza verso il futuro.
Il Governo incontra tutti, un incontro non si nega a nessuno, ma il problema vero è se il confronto produce risultati o regredisce a livello di generico “dialogo sociale” che non dà risposte alle richieste di CGIL CISL UIL.
Che novità ci sono state al termine dell’incontro del 12 gennaio su Salute e Sicurezza con la ministra del lavoro? “Tavoli tecnici quindicinali”.
Il fare di questo governo rispetto alle nostre piattaforme, si riduce a discutere genericamente e all’infinito su cosa sarebbe meglio fare, senza mai dare risposte concrete di cambiamento.
Intanto gli infortuni mortali e gravi sul lavoro seguono il loro impressionante ritmo.
Il lavoro precario e lo sfruttamento delle donne e dei giovani crescono piuttosto che diminuire, anche se la Ministra del lavoro Calderone “preferisce” parlare di flessibilità.
Un pensiero e un grazie, colmi di riconoscenza, al partigiano Giovanni Marzona, nome di battaglia “Alfa”, che nei giorni scorsi, a 95 anni, ha lasciato questo mondo turbolento dopo aver combattuto per la libertà fin da giovanissimo.
Un vero esempio.
Da cui ricavare ispirazione per tenere lontano il fascismo e i fascisti che ci sono in tutto il mondo, come abbiamo visto nei giorni scorsi con l’ennesimo tentativo di abbattere, con la violenza, il nuovo governo brasiliano di Luiz Inàcio Lula.

G.G.